"Vita"
Ecco qui.
Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, eppure in questo momento sono stupito.
Penso sia così per tutti, anche se, ovviamente, non avrò mai modo di chiederlo a nessuno.
Del resto, si sa, i morti non parlano.
Ho esalato il mio ultimo respiro giusto qualche ora fa sul divano, davanti alla tivù.
Nessuna morte epica, nessun estremo sacrificio o slancio di generosità, dunque; solo un pezzetto di gambero bloccato in fondo alla gola e nessuno ad aiutarmi nelle vicinanze.
Ricordo distintamente l'urlo di mia moglie che scopre la scena, la telefonata al medico, la constatazione di decesso rapida e formale.
Posso ancora percepire il vestito buono scivolarmi addosso, le carezze dei miei cari, l'ultimo bacio dei miei figli.
Tatto e udito sono ancora integri, anche se non so per quanto. C'è stato un certo trambusto durante il trasporto della bara, ma adesso tutto tace.
Sono arrivato, credo.
Ho avuto paura, anche se è stato strano provarla, perché il cuore non batteva.
Ho provato a gridare, ma non posso muovere neanche un muscolo.
Sento la pelle ritirarsi e gli occhi rinsecchirsi innaturalmente, ma ora sono più calmo, e penso.
Rifletto su quello che avrebbe potuto essere, su ciò che avrei potuto fare, sulle cose che avrei potuto dire.
Ci sono stati dei momenti che ho rivissuto con la mente centinaia di volte durante la mia vita, occasioni perdute e sogni irrealizzati.
Ed è un peccato, senza dubbio, un terribile spreco.
Però...
Il viso di mia moglie continua a fare capolino tra i ricordi, anche in quelli costruiti prima di conoscerla, e così fanno i miei figli, rincorrendosi e giocando tra le mie memorie.
Ridono e si divertono, allegri proprio come quando erano piccoli, e tutti insieme ci rechiamo al lago e sorseggiamo tè freddo, e ci facciamo dispetti traboccanti affetto e buonumore.
Non c'è un briciolo di rimpianto sui nostri volti, e il tramonto estivo è il più bello e colorato che abbia mai visto.
Sono arrivato, credo.
Se potessi, so che sorriderei.
Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, eppure in questo momento sono stupito.
Penso sia così per tutti, anche se, ovviamente, non avrò mai modo di chiederlo a nessuno.
Del resto, si sa, i morti non parlano.
Ho esalato il mio ultimo respiro giusto qualche ora fa sul divano, davanti alla tivù.
Nessuna morte epica, nessun estremo sacrificio o slancio di generosità, dunque; solo un pezzetto di gambero bloccato in fondo alla gola e nessuno ad aiutarmi nelle vicinanze.
Ricordo distintamente l'urlo di mia moglie che scopre la scena, la telefonata al medico, la constatazione di decesso rapida e formale.
Posso ancora percepire il vestito buono scivolarmi addosso, le carezze dei miei cari, l'ultimo bacio dei miei figli.
Tatto e udito sono ancora integri, anche se non so per quanto. C'è stato un certo trambusto durante il trasporto della bara, ma adesso tutto tace.
Sono arrivato, credo.
Ho avuto paura, anche se è stato strano provarla, perché il cuore non batteva.
Ho provato a gridare, ma non posso muovere neanche un muscolo.
Sento la pelle ritirarsi e gli occhi rinsecchirsi innaturalmente, ma ora sono più calmo, e penso.
Rifletto su quello che avrebbe potuto essere, su ciò che avrei potuto fare, sulle cose che avrei potuto dire.
Ci sono stati dei momenti che ho rivissuto con la mente centinaia di volte durante la mia vita, occasioni perdute e sogni irrealizzati.
Ed è un peccato, senza dubbio, un terribile spreco.
Però...
Il viso di mia moglie continua a fare capolino tra i ricordi, anche in quelli costruiti prima di conoscerla, e così fanno i miei figli, rincorrendosi e giocando tra le mie memorie.
Ridono e si divertono, allegri proprio come quando erano piccoli, e tutti insieme ci rechiamo al lago e sorseggiamo tè freddo, e ci facciamo dispetti traboccanti affetto e buonumore.
Non c'è un briciolo di rimpianto sui nostri volti, e il tramonto estivo è il più bello e colorato che abbia mai visto.
Sono arrivato, credo.
Se potessi, so che sorriderei.
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